
Un nuovo inizio e una nuova vita nel lontano Giappone
Originario della Repubblica Democratica del Congo, Masamba lavora ora da UNIQLO GINZA.
THE POWER OF
CLOTHING
N. 26, giugno 2024
Vagando per le strade in uno stato di confusione, sentii una voce chiedere: "Va tutto bene?"
La Repubblica Democratica del Congo, una recente colonia del Belgio che ha da poco dichiarato la propria indipendenza, è scossa dalla guerra civile e dall'instabilità, con un gran numero di persone in fuga dal paese. L'oppressione in patria ha reso la vita impossibile a Masamba. Un tempo insegnava geografia e matematica, ma sedici anni fa un amico che lavora nel servizio civile lo ha spinto a cercare rifugio in Giappone.
Fotografia di Shinsuke Kamioka
Per lasciare la Repubblica Democratica del Congo, il suo paese d'origine, Masamba ha dovuto prendere diversi voli che lo hanno portato in Giappone. Solo, senza famiglia né amici, e senza parlare la lingua, prenotò un albergo a Ginza per una notte, ma sapeva di dover trovare un posto meno caro in cui stare mentre faceva domanda per ottenere lo status di rifugiato, anche se non aveva la più pallida idea di dove andare né di come fare per iniziare il processo. Era il 2008 e allora non aveva neppure il cellulare.
Il mattino dopo, lasciò l'hotel e si ritrovò a vagare per le strade di Ginza trascinandosi dietro la valigia. Deve aver avuto un aspetto abbattuto, dal momento che un uomo gli si avvicinò e gli chiese in inglese: "Tutto bene? Sta cercando qualcosa?" Aveva un viso gentile, quindi Masamba sorrise e rispose: " Potrebbe dirmi dove posso fare richiesta per ottenere lo status di rifugiato con le Nazioni Unite?" L'uomo rispose: "Lo scopriremo" e lo portò in ufficio con sé. Lì, l'uomo e i suoi colleghi fecero delle ricerche e delle telefonate, poi gli diedero un pezzo di carta con un indirizzo dicendo: "Devi andare qui. Ti va di prendere la metro da solo?", "Sono arrivato ieri, non ho idea di come le cose funzionano qui", "Hai dei soldi con te?", "Un po'", "Allora dai questo indirizzo al tassista, ti ci porterà lui." L'uomo quindi gli chiamò un taxi.

Abbiamo parlato con Masamba in negozio, che ci ha stupito per la sua pazienza e gentilezza.

Repubblica Democratica del Congo (Dati del Ministro degli Affari Esteri del Giappone)
Situato al centro dell'Africa, il paese si trova all'undicesimo posto nella classifica globale per superficie. Il clima varia dal freddo delle montagne sul confine orientale alle temperature tropicali delle foreste pluviali, degli altipiani e dei vasti bacini. Posizionata nel bacino del fiume Congo, la capitale Kinshasa è una città moderna con una popolazione equivalente a quella del centro di Tokyo. La dittatura ha dato luogo ad una guerra civile e, secondo l'UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) più di otto milioni di persone hanno lasciato le proprie case.
Storia
La Repubblica Democratica del Congo nel ventesimo secolo era una colonia del Belgio e ha dichiarato la propria indipendenza nel 1960. Subito dopo, violenze e colpi di stato hanno diviso il paese che resta ancora oggi squarciato dai conflitti. Rinominata Repubblica dello Zaire nel 1971, la Repubblica Democratica del Congo ha ottenuto l'attuale nome nel 1997, nonostante i continui tumulti politici.
Economia
Uno dei paesi più poveri al mondo, nonostante la sua ricchezza di risorse minerarie. Secondo il Mineral Commodity Summaries 2024, la nazione si posiziona globalmente al primo posto per depositi di cobalto, al quarto per rame e all'ottavo per stagno, ma la maggior parte dei profitti generati da queste risorse finisce per finanziare i conflitti armati, la popolazione infatti usufruisce molto poco di queste ricchezze.
Cultura
Per via di una grande diversità di culture e lingue, considerando anche il lascito di anni di dominazione belga, e una popolazione per l'80% di religione cristiana, questo paese non può essere facilmente ricondotto ad un'unica cultura, da qui derivano anche le sfide legate al sistema scolastico.
Shock culturale
Arrivato a Shibuya, Masamba tentò di pagare il taxi in dollari americani, ma il conducente lo guardò infastidito e disse: "Non posso accettarli." Dal momento che era tutto quello che aveva, il tassista accompagnò Masamba in banca. Mentre riempiva il modulo per cambiare valuta, un altro africano si avvicinò a lui e chiese:"Tutto bene?" Quando Masamba rispose, quello disse:" Questo è l'indirizzo della filiale delle Nazioni Unite che offre aiuto ai rifugiati, non puoi fare richiesta per lo status di rifugiato lì." Così, dopo aver pagato il tassista, Masamba andò con l'uomo alla stazione di polizia più vicina.
L'ufficiale di turno gli diede una serie di informazioni utili: "Recati al JAR (l'associazione giapponese per i rifugiati)" disse, gli diede un altro indirizzo e gli chiamò un taxi. Una volta al JAR, Masamba ottenne le informazioni per richiedere lo status di rifugiato all'ufficio immigrazione. Gli venne data anche una mappa di Tokyo, alcune informazioni sulla vita in città, e indicazioni su un posto dove stare per un po'. Nel dormitorio, si stupì del fatto che non avrebbe dormito in una stanza con un letto, ma per terra, su un futon e un tatami stesi sul pavimento. Non aveva mai visto un futon in vita sua, ma grazie alla gentilezza di quegli estranei, il suo secondo, lunghissimo, giorno in Giappone era finito.
In fuga da una patria in guerra
Sono nato nel 1975 a Mbanza-Ngungu, una città nel Congo occidentale. Situata a circa 100 kilometri a sud-ovest della capitale Kinshasa, ospita l'Università del Congo e circa 100.000 persone. Nonostante oggi il Congo sia un paese libero, continua ad essere turbato da conflitti, violenze e colpi di stato, che hanno portato a un gran numero di decessi e ad un costante flusso di persone in fuga dal paese.
Le prime elezioni parlamentari e presidenziali del paese si sono tenute nel 2006, ma dopo aver mostrato il mio supporto per il partito avversario ho cominciato a temere per la mia sicurezza. "Faresti megli a lasciare il paese" mi ha detto un amico che lavora nel governo, "o finirai in prigione."
La Repubblica Democratica del Congo era una colonia del Belgio, per questo la nostra lingua ufficiale è il francese. La cultura europea mi è familiare. Prima di lasciare il Congo, ho pensato di andare al Consolato francese o inglese e richiedere un visto. Sfortunatamente, c'era un sovraffollamento di persone come me in fila davanti alle porte già dalle quattro del mattino.
Non c'era modo di sapere se o quando avrei ottenuto un visto. Così chiesi consiglio al mio amico che lavora per il governo. "Non hai tempo di aspettare. Tieni questo e vai al Consolato giapponese", mi disse, porgendomi un passaporto da funzionario pubblico che aveva fatto fare per me. Così riuscii ad ottenere il visto per il Giappone e iniziai i preparativi per il viaggio.
Da insegnante di geografia e matematica, il Giappone mi sembrava una società avanzata e tecnologica. Ma non sapevo nulla della lingua e della cultura giapponese. L'Europa è piena di rifugiati dall'Africa, ma non avevo mai sentito parlare di qualcuno che cercasse rifugio in Giappone. Ora che avevo il visto, però, sapevo di doverci provare.
Da rifugiato a lavoratore
Ecco una panoramica sugli step per ottenere lo status di rifugiato in Giappone.
1. Fare domanda
Una volta entrati nel paese, bisogna richiedere lo status di rifugiato presso l'ufficio immigrazione, inviare la documentazione, partecipare all'intervista e attendere il responso.
2. Associazione giapponese per i rifugiati (JAR) o presso la sede centrale di assistenza ai rifugiati (RHQ)
Queste organizzazioni offrono fondi per le spese di vitto, alloggio e per le spese sanitarie, mentre i richiedenti sono in attesa dell'esito della domanda.
3. Attività designate
Ottenere il permesso di soggiorno temporaneo per attività designate e attendere i risultati della domanda.
4. Status di rifugiato
Coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato possono vivere e lavorare in Giappone. RHQ offre un programma educativo che include l'insegnamento della lingua giapponese, una guida allo stile di vita e servizi di avviamento al lavoro.
5. Impiego
I nuovi residenti imparano a padroneggiare la lingua e a conoscere la cultura lavorativa giapponese durante la ricerca di un lavoro. Attualmente, solo un piccolo numero di aziende assume individui che hanno ottenuto lo status di rifugiato.
Un piatto di cucina che apre molte porte
Avevo iniziato a mettere le cose a posto. Al JAR sono stati così gentili e pazienti nell'aiutarmi con tutti i moduli. Una volta completati i documenti, mi sono recato all'ufficio immigrazione, ma richiedere lo status di rifugiato non era così semplice. Il mio passaporto da funzionario pubblico era un problema. Il mio amico sapeva che se avessimo usato il mio vero nome, avrei potuto essere trattenuto per voler lasciare il paese, così usò un nome comune che, guarda caso, era anche ampiamente rappresentato nel regime politico. Il mio visto era stato rilasciato immediatamente perché avevo fatto domanda per andare in Giappone come dipendente pubblico.
Agli occhi del governo giapponese, era contro le regole usare un nome falso sul passaporto, a prescindere da quale fosse la ragione, quindi non era possibile fare richiesta di asilo. La mia domanda venne rifiutata, mi diedero solo una carta di registrazione per stranieri che però non mi dava il diritto di lavorare. Senza lo status di rifugiato, avrei dovuto trovare un'alternativai se volevo rimanere in Giappone. Visitando l'RHQ (sede centrale di assistenza ai rifugiati), mi sono informato sui corsi di lingua giapponese e ho ricevuto ogni tipo di supporto.
Una delle cose di cui mi hanno parlato è Kalabaw No Kai, un'organizzazione che aiuta i lavoratori stranieri, gli immigrati e i rifugiati. Offrivano non solo lezioni di giapponese, ma anche conferenze per comprendere meglio la cultura giapponese, che ho seguito con attenzione. Kalabaw No Kai mi ha dato un grande sostegno, per il quale sono molto grato.
Parlo fluentemente il francese, ma l'inglese non è facile per me. Gli organizzatori comunicavano con noi in inglese e, al mio livello, non era facile parlare della complicata situazione politica in Congo, discutere della guerra civile o raccontare a queste persone la mia situazione.
A un certo punto, il Kalabaw No Kai ha ospitato un festival che mirava a favorire una maggiore comunicazione tra immigrati, rifugiati, organizzatori e comunità. Speravamo anche di guadagnare qualcosa cucinando e vendendo cibo. Io ero incaricato di preparare un sauté di pollo alla francese, che adoravo in Congo. Allora questo professore universitario giapponese che stava preparando un piatto si avvicina e mi dice: "Questi sapori mi riportano indietro". Scoprii che aveva mangiato un piatto simile in Francia. "Sa parlare francese?" Chiesi, usando il francese per iniziare una conversazione. Questo professore sapeva cosa stava succedendo in Congo e capiva perché ero partito, così ha aiutato gli altri a Kalabaw No Kai a comprendere meglio la mia situazione. Questo ha spinto il gruppo a credere ancora di più che dovessi ottenere lo status di rifugiato e alla fine abbiamo trovato un avvocato e abbiamo portato il caso in tribunale.
Quando abbiamo vinto e mi è stato concesso lo status di rifugiato, ero ormai in Giappone da sette anni. È difficile riassumere come sono stati questi anni. Sono così grato di avere un lavoro fisso presso UNIQLO GINZA e di sentirmi così positivo per il futuro.
Ho due figli. Uno di quattro anni e l'altro di sette mesi. Essere genitori è dura! I miei figli stanno crescendo in Giappone e non hanno potuto conoscere il Congo e le loro radici. Il più grande sa parlare lingala, una delle lingue del Congo, oltre ad inglese, giapponese e francese. L'inglese è la lingua che parla meglio. Il suo cartone animato preferito è in inglese, il che la dice lunga. Mia moglie preferisce il francese, riesce a capire l'inglese ma fa difficoltà a parlarlo.
A Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, il lingala è la lingua comune. Nella parte orientale del paese si parla lo swahili. A ovest, il kikongo e nella regione centrale lo tshilubà. Queste sono le quattro lingue principali, ma se si contano le tribù, ci sono 450 gruppi culturali. Tra questi, il lingala è una lingua che la maggior parte delle persone sa parlare.
Dal momento che non abbiamo libri di testo in lingala, facciamo in modo di parlare con i nostri figli in lingala ogni giorno. Non c'è bisogno di libri per imparare le parole e per imparare a parlare. Voglio che i miei figli conoscano il lingala perché penso che arriverà il giorno in cui torneremo in Congo.
Una cosa impossibile da dimenticare della mia vita in Congo è il tempo. Da dove vengo io, nella parte occidentale del paese, c'è il clima tipico della savana, raffreddato dalla presenza dell'oceano. In Giappone, è come se fosse autunno, tutto l'anno. Quando i portoghesi visitarono per la prima volta il Regno del Congo nel XV secolo, giunsero ad ovest via mare. La tratta degli schiavi non ebbe inizio che nel XVI secolo e, per un po', l'economia fu relativamente stabile. Ma nel XVI secolo fummo invasi dagli europei e l'era buia delle nostra storia ebbe inizio.
Avevo iniziato a mettere le cose a posto. Al JAR sono stati così gentili e pazienti nell'aiutarmi con tutti i moduli. Una volta completati i documenti, mi sono recato all'ufficio immigrazione, ma richiedere lo status di rifugiato non era così semplice. Il mio passaporto da funzionario pubblico era un problema. Il mio amico sapeva che se avessimo usato il mio vero nome, avrei potuto essere trattenuto per voler lasciare il paese, così usò un nome comune che, guarda caso, era anche ampiamente rappresentato nel regime politico. Il mio visto era stato rilasciato immediatamente perché avevo fatto domanda per andare in Giappone come dipendente pubblico.
Agli occhi del governo giapponese, era contro le regole usare un nome falso sul passaporto, a prescindere da quale fosse la ragione, quindi non era possibile fare richiesta di asilo. La mia domanda venne rifiutata, mi diedero solo una carta di registrazione per stranieri che però non mi dava il diritto di lavorare. Senza lo status di rifugiato, avrei dovuto trovare un'alternativai se volevo rimanere in Giappone. Visitando l'RHQ (sede centrale di assistenza ai rifugiati), mi sono informato sui corsi di lingua giapponese e ho ricevuto ogni tipo di supporto.
Una delle cose di cui mi hanno parlato è Kalabaw No Kai, un'organizzazione che aiuta i lavoratori stranieri, gli immigrati e i rifugiati. Offrivano non solo lezioni di giapponese, ma anche conferenze per comprendere meglio la cultura giapponese, che ho seguito con attenzione. Kalabaw No Kai mi ha dato un grande sostegno, per il quale sono molto grato.

Parlo fluentemente il francese, ma l'inglese non è facile per me. Gli organizzatori comunicavano con noi in inglese e, al mio livello, non era facile parlare della complicata situazione politica in Congo, discutere della guerra civile o raccontare a queste persone la mia situazione.
A un certo punto, il Kalabaw No Kai ha ospitato un festival che mirava a favorire una maggiore comunicazione tra immigrati, rifugiati, organizzatori e comunità. Speravamo anche di guadagnare qualcosa cucinando e vendendo cibo. Io ero incaricato di preparare un sauté di pollo alla francese, che adoravo in Congo. Allora questo professore universitario giapponese che stava preparando un piatto si avvicina e mi dice: "Questi sapori mi riportano indietro". Scoprii che aveva mangiato un piatto simile in Francia. "Sa parlare francese?" Chiesi, usando il francese per iniziare una conversazione. Questo professore sapeva cosa stava succedendo in Congo e capiva perché ero partito, così ha aiutato gli altri a Kalabaw No Kai a comprendere meglio la mia situazione. Questo ha spinto il gruppo a credere ancora di più che dovessi ottenere lo status di rifugiato e alla fine abbiamo trovato un avvocato e abbiamo portato il caso in tribunale.
Quando abbiamo vinto e mi è stato concesso lo status di rifugiato, ero ormai in Giappone da sette anni. È difficile riassumere come sono stati questi anni. Sono così grato di avere un lavoro fisso presso UNIQLO GINZA e di sentirmi così positivo per il futuro.
Ho due figli. Uno di quattro anni e l'altro di sette mesi. Essere genitori è dura! I miei figli stanno crescendo in Giappone e non hanno potuto conoscere il Congo e le loro radici. Il più grande sa parlare lingala, una delle lingue del Congo, oltre ad inglese, giapponese e francese. L'inglese è la lingua che parla meglio. Il suo cartone animato preferito è in inglese, il che la dice lunga. Mia moglie preferisce il francese, riesce a capire l'inglese ma fa difficoltà a parlarlo.
A Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, il lingala è la lingua comune. Nella parte orientale del paese si parla lo swahili. A ovest, il kikongo e nella regione centrale lo tshilubà. Queste sono le quattro lingue principali, ma se si contano le tribù, ci sono 450 gruppi culturali. Tra questi, il lingala è una lingua che la maggior parte delle persone sa parlare.
Dal momento che non abbiamo libri di testo in lingala, facciamo in modo di parlare con i nostri figli in lingala ogni giorno. Non c'è bisogno di libri per imparare le parole e per imparare a parlare. Voglio che i miei figli conoscano il lingala perché penso che arriverà il giorno in cui torneremo in Congo.
Una cosa impossibile da dimenticare della mia vita in Congo è il tempo. Da dove vengo io, nella parte occidentale del paese, c'è il clima tipico della savana, raffreddato dalla presenza dell'oceano. In Giappone, è come se fosse autunno, tutto l'anno. Quando i portoghesi visitarono per la prima volta il Regno del Congo nel XV secolo, giunsero ad ovest via mare. La tratta degli schiavi non ebbe inizio che nel XVI secolo e, per un po', l'economia fu relativamente stabile. Ma nel XVI secolo fummo invasi dagli europei e l'era buia delle nostra storia ebbe inizio.

Dall'inventario alle alterazioni dei capi, Masamba si occupa di tutto nel reparto Uomo di UNIQLO GINZA.
Dall'Ufficio Oggetti Smarriti
Ciò che amo del Giappone è la sua quiete. Che tu sia in treno o in autobus, gli altri passeggeri sono sempre silenziosi. In Congo, in autobus o in treno sembra di essere ad una festa, con il chiacchiericcio continuo delle persone.
Inoltre è incredibile come in Giappone se perdi qualcosa, c'è un'alta probabilità che venga ritrovata. Una volta, ho lasciato la mia borsa sul treno. C'erano dentro il mio telefono e il portafogli. Quando me ne sono accorto, ho avvisato il personale della stazione che ha dato inizio alle ricerche, senza successo. Più tardi però, chiamai l'ufficio Oggetti Smarriti dove mi dissero che la borsa era stata ritrovata.
Così sono andato a prenderla, il telefono e il portafogli erano all'interno. Nulla era stato preso. Non ci potevo credere. Sono davvero grato a chi l'ha portata lì. Se la stessa cosa fosse successa in Congo, la borsa sarebbe sicuramente sparita e, se mai fosse stata ritrovata, sarebbe stata senza dubbio vuota.
Aiutando i rifugiati nel limbo
Ho iniziato a lavorare da UNIQLO GINZA nel 2017.
Sono passati sette anni. Al momento, sono responsabile della collezione maschile dell'ottavo, nono e decimo piano. Ma mi occupo anche della cassa, dell'assistenza clienti, dello stoccaggio e della manutenzione del negozio. Gran parte dello staff arriva da oltreoceano. È un lavoro impegnativo, ma molto gratificante.
Ho potuto portare qui mia moglie dal Congo. Abbiamo avuto due figli in Giappone. Devo ringraziare questo lavoro per la stabilità e la tranquillità di cui gode la mia famiglia. Sebbene il mio arrivo in Giappone sia stato praticamente un caso, sono fortunato di essere finito in un luogo così tranquillo e silenzioso.
Voglio essere utile ad altri rifugiati la cui storia è simile alla mia. Quando si è bloccati nel processo di richiesta, è come vivere in un limbo. Ogni giorno è incerto. Non c'è modo di sapere cosa succederà dopo. Voglio aiutare queste persone, per restituire la gentilezza che ho ricevuto. Lungi dall'essermi perso, come nei primi giorni in Giappone, ho trovato una comunità di altri africani, gente del Congo che vive qui. Questi legami sono una fonte di sostegno fondamentale.
Ogni giorno mi informo su cosa succede in Congo. Se si riuscisse a istituire la democrazia e a stabilizzare la situazione, vorrei riportare a casa la mia famiglia. Spero che prima o poi quel giorno arrivi.


UNIQLO COFFEE al 12° piano di UNIQLO GINZA e UNIQLO FLOWER al piano terra.
Ecco come UNIQLO sta assumendo rifugiati attraverso il Programma RISE.
Nel tentativo di trarre vantaggio dalle proprie risorse come azienda di abbigliamento, UNIQLO ha raccolto prodotti dai contenitori destinati al riciclo dei capi usati nei nostri negozi, selezionando ciò che può essere riutilizzato e inviando abiti ai campi profughi di tutto il mondo. Finora, sono stati inviati oltre 54,6 milioni di capi in ottanta paesi e territori (dati aggiornati ad agosto 2023).
Il Programma RISE (Inclusione, Supporto ed Emancipazione dei Rifugiati) è stato lanciato nel 2011. L'idea è quella di assumere in modo proattivo i rifugiati nei negozi UNIQLO. Affinché gli sfollati possano trovare uno stile di vita stabile nelle loro nuove case, le opportunità di lavoro sono fondamentali.
In collaborazione con le ONP, UNIQLO conduce colloqui per determinare le capacità individuali. Tutti gli assunti ricevono formazione sui valori di UNIQLO e sui metodi di assistenza al cliente, oltre a corsi di lingua in giapponese (o, se all'estero, nella lingua locale).
Questo programma educativo comprende anche una guida per i dirigenti, per il personale addetto alla formazione e per il personale dei punti vendita che intendono promuovere una profonda comprensione interculturale.
Ad aprile 2024, erano quarantasei i membri del personale con lo status di rifugiato impiegati in trentatré negozi in Giappone. Questa tendenza si sta diffondendo nei nostri negozi negli Stati Uniti e in Europa, oltre che nelle società del Gruppo Fast Retailing. Considerare tutti i dipendenti come parte della stessa squadra, indipendentemente dalle loro origini o dalla loro cittadinanza, è parte integrante della nostra cultura aziendale.
L'inserimento di persone sfollate nel personale UNIQLO è un modo per rendere la diversità una realtà quotidiana.
Aiutare le persone a vivere e lavorare in Giappone: Sede di assistenza ai rifugiati (RHQ)
Il RHQ è stato fondato dal governo giapponese nel 1979 come struttura per accogliere i rifugiati provenienti dall'Indocina (Vietnam, Cambogia, Laos). Su mandato del governo, fornisce varie forme di aiuto ai rifugiati, agli sfollati e a coloro che richiedono lo status di rifugiato, con l'obiettivo del reinsediamento.
Coloro che sono entrati in Giappone e hanno richiesto lo status di rifugiato e che non dispongono di fondi personali hanno diritto a quattro mesi di aiuti monetari per coprire le spese di vita di base, l'alloggio e le spese mediche. Questo periodo può essere esteso a seconda dei casi in considerazione di fattori quali la malattia o la cura di bambini piccoli.
Nell'attesa che venga concesso lo status di rifugiato, alla maggior parte dei richiedenti viene rilasciato un visto per "attività designate" della durata di due o tre mesi. Le versioni a medio e lungo termine di questo visto, che consentono di lavorare, possono richiedere quasi un anno di attesa. Senza un visto adeguato, non è possibile lavorare, il che rende questa parte del processo di richiesta più difficile per i rifugiati.
Per coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, il RHQ offre un programma educativo di supporto alla residenza. I corsi diurni durano sei mesi, mentre i corsi serali durano un anno e forniscono lezioni di lingua giapponese e indicazioni su come vivere in Giappone. Se qualcuno ha difficoltà a raggiungere le lezioni, è disponibile un alloggio a una distanza relativamente breve dalle aule.
L'orientamento allo stile di vita aiuta le persone a ottenere l'assicurazione per i propri figli, a prepararli per l'ingresso a scuola e a rispettare le regole locali per la raccolta differenziata dei rifiuti. In questo periodo viene fornito anche un supporto per l'inserimento lavorativo. Il RHQ fa continuamente appello alle industrie e alle camere di commercio locali affinché assumano i rifugiati.
Un tempo la maggior parte dei rifugiati proveniva dall'Asia, ma negli ultimi anni sono sempre di più quelli che provengono dal Medio Oriente e dall'Africa. Molti di coloro a cui è stato concesso lo status di rifugiato e che partecipano al programma di sostegno alla residenza sono laureati o diplomati e sperano di lavorare in diversi settori. Perché i loro talenti coincidano con l'occupazione, dobbiamo creare una società più ricettiva nei confronti di persone provenienti da contesti culturali, religiosi e sociali diversi. In fin dei conti, tutto si riduce alla volontà di cercare di capirsi a vicenda.
Oltre il 30% del personale di UNIQLO GINZA proviene dall'estero. Per un mix fatto di tante prospettive diverse.
L'atmosfera cambia da un piano all'altro, sia che si tratti del caffè al dodicesimo piano o del negozio di fiori al primo. Il membro dello staff Thidar è una rifugiata del Myanmar.

Thidar che è responsabile del reparto donna, viene fotografata mentre spiega ad alcuni clienti curiosi in cosa consiste UTme!.

A pochi minuti a piedi dall'incrocio tra Ginza 4-chome e Ginza 6-chome, UNIQLO GINZA ha un personale notevolmente diversificato. Su 320 dipendenti, 110 provengono dall'estero (alla data di marzo 2024) e tre sono stati assunti tramite il Programma RISE.
Nei pomeriggi dei giorni feriali, tutti i dodici piani del negozio di Ginza sono pieni di clienti provenienti da tutto il mondo. Un riflesso della diversità del personale.
Ogni piano è organizzato e decorato in modo diverso, ma l'intero negozio è immerso nella luce naturale, rendendo piacevole la visita. Al dodicesimo e ultimo piano si trova un semplice caffè composto da una parete di divani. Un luogo perfetto per sedersi e riposare dopo il jet lag. Siamo a Ginza o a New York?
Bella domanda. Ascoltando i clienti chiacchierare, è probabile che si senta parlare inglese insieme a molte altre lingue. La vista dei clienti che si sentono a casa e del personale che li aiuta conferisce al negozio un'atmosfera tranquilla.
Al quinto piano c'è una postazione UTme! dove si possono realizzare magliette e tote bag originali con le proprie fotografie e illustrazioni preferite. Thidar, che lavora al banco, è stata assunta grazie al Programma RISE.
Richiesta di asilo non accolta
Thidar lasciò il Myanmar per venire in Giappone nel 2007.
Il Myanmar fu colonizzato dalla Gran Bretagna alla fine del XIX secolo. Lo stato fu poi occupato dal Giappone durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel 1948, dopo la guerra, dichiarò l'indipendenza come Unione della Birmania (ribattezzata Unione del Myanmar dal governo militare nel 1989).
Il Myanmar è stato spesso teatro di colpi di stato e conflitti, con un governo dittatoriale che continua ancora oggi. L'oppressione e i conflitti armati all'interno del Myanmar hanno avuto un'impennata nel 2021 e, secondo l'UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), oltre 61.700 persone hanno cercato rifugio negli stati vicini e oltre, mentre più di 2,9 milioni sono state costrette a trasferirsi all'interno del paese.
Quando nel 2007 la dittatura ha vietato le manifestazioni civili, Thidar, preoccupata per la sua sicurezza, ha contattato la sorella e il cognato, che vivevano già in Giappone, e ha lasciato il Myanmar.
Una volta arrivata in Giappone,Thidar ha chiesto lo status di rifugiato all'ufficio immigrazione, dove le è stato rifiutato. L'unica cosa che è riuscita a ottenere è stato un visto per "attività designate". I visti rilasciati dal Ministero della Giustizia permettono di svolgere determinati tipi di lavoro per periodi che vanno da tre mesi a cinque anni. Nel caso di Thidar, il visto per "attività designate" aveva la durata di sei mesi. Prima della scadenza del periodo, avrebbe potuto recarsi all'ufficio immigrazione e sostenere un colloquio. Se la sua situazione fosse stata ritenuta eccezionale, avrebbe potuto ricevere una proroga.
Thidar è riuscita a rinnovare più volte il suo visto di sei mesi. In seguito, le è stato rinnovato a scaglioni di un anno. Al sesto anno di permanenza in Giappone, le è stato infine riconosciuto lo status di rifugiato.
Nel frattempo, lavorò in un negozio di hamburger e in un ristorante yakitori. All'inizio, non sapendo leggere il giapponese, è stata una lotta imparare il menu e prendere le ordinazioni senza commettere errori. L'interazione con i clienti le fece capire che per vivere e lavorare in Giappone avrebbe avuto bisogno di una forte padronanza della lingua. Un amico le indicò la fondazione di assistenza sociale Support21, specializzata nell'aiutare i rifugiati a diventare indipendenti. Offrono anche corsi di giapponese, che lei iniziò a frequentare, dedicando gran parte del suo tempo libero allo studio.

Riunione mattutina al dodicesimo piano di UNIQLO GINZA. Si trattava di una mattina speciale in cui si festeggiava l'anniversario dei dieci anni di assunzione di un membro del personale.
Al corso di giapponese si parla di UNIQLO
Mentre carcava di adattarsi, Thidar seppe che sua madre in Myanmar si era ammalata. Da quel momento, aveva iniziato a inviare denaro a casa per coprire le spese mediche, per un certo periodo le cose furono molto difficili dal punto di vista finanziario. Anche per questo, Thidar cominciò a desiderare un'entrata economica stabile e uno stile di vita più calmo.
Un giorno, il suo insegnante di giapponese le chiese: Thidar, saresti disposta a lavorare da UNIQLO?" Le piaceva la moda ed era interessata ad un'opportunità del genere. Thidar prese quel suggerimento come un buon segno, significava che le sue competenze in giapponese stavano migliorando. Support21 le offrì aiuto nella scrittura del curriculum e nell'invio delle candidature.
Dopo che fu selezionata dal Programma RISE, Thidar fece un colloquio con un'insegnante che reputò adeguate le sue abilità linguistiche. Ben presto iniziò a lavorare, mentre frequentava delle lezioni speciali di lingua offerte dal Programma RISE. Thidar racconta che ricorda ancora il miscuglio di sollievo e ansia che provava in quel periodo.
I programmi di sostegno di UNIQLO per i rifugiati sono stati avviati nel 2011. L'azienda, i suoi negozi e il personale hanno acquisito una grande esperienza. Nel corso del tempo è emersa una filosofia: riconoscendo che l'esperienza di ognuno è diversa, è possibile comunicare con i rifugiati come con il resto del personale, senza troppi trattamenti speciali, in modo che si abituino alla natura del lavoro.
Da più di 20 anni, UNIQLO si impegna ad assumere proattivamente persone con disabilità. Questo programma incarna una filosofia molto simile. Promuovere la comprensione e la collaborazione rende il team più forte, migliora la comunicazione e, di conseguenza, la qualità dell'esperienza dei clienti — una filosofia che è stata adottata da tutta l'azienda.
Cittadinanza e Imprenditoria
Thidar è stata assegnata ad UNIQLO GINZA.
Entrando nell'area riservata ai dipendenti, scoprì che le insegne erano scritte sia in hiragana che in inglese, in modo che il personale che stava ancora studiando il giapponese potesse leggerle facilmente. Ha trovato rassicurante il fatto che diversi membri del personale fossero rifugiati. Soprattutto, era entusiasta di lavorare nel settore dell'abbigliamento.
All'inizio, una cosa sconcertante era la frequenza con cui le persone iniziavano a parlarle in giapponese, a causa del suo aspetto. Parlavano come se lei sapesse cosa stavano dicendo, ma a volte non riusciva a seguirli. "Scusi, potrebbe ripetere?", chiedeva, poi davano un'occhiata alla sua targhetta con il nome e dicevano "Oh, lei non è giapponese", per poi continuare a parlare a un ritmo più lento. Per quanto potesse essere frustrante, non era del tutto negativo. Thidar era grata che i clienti fossero disposti ad adeguarsi al suo ritmo.
Nelle sue prime riunioni mattutine, riusciva a capire solo il venti per cento di ciò che veniva detto. Ma chiedendo ai suoi colleghi di spiegare, riusciva a capire. Ogni cosa poteva essere risolta facendo domande. Questa è stata una rivelazione.
Ha imparato molto. Cosa significa ridurre i rifiuti di plastica, quanto è importante riciclare i vestiti e inviare ciò che può essere ancora indossato ai rifugiati di tutto il mondo. Lavorare presso il negozio di Ginza le ha dato la possibilità di imparare sul campo e di conoscere i progetti di sostenibilità di UNIQLO.
Attualmente, Thidar sta pensando di fare domanda per diventare cittadina naturalizzata giapponese. Controlla quotidianamente le notizie dal Myanmar, ma le cose non sembrano migliorare. Il personale del negozio di Ginza è gentile. È un lavoro che vale la pena fare. Si è abituata a vivere in Giappone. Ha trovato un'esistenza stabile. Il suo sogno è quello di aprire un giorno una boutique di abbigliamento tutta sua, un sogno che alimenta il suo desiderio di ottenere la cittadinanza.

Yuki Koda
Manager di UNIQLO GINZA
Le differenze fanno parte dell'esperienza umana e noi cerchiamo di affrontare le cose da una prospettiva positiva.
Da UNIQLO GINZA accogliamo regolarmente clienti provenienti da oltre 130 paesi diversi. Prima di arrivare al negozio di Ginza, ho lavorato all'estero come manager di uno dei negozi UNIQLO di New York. Negli Stati Uniti, non è raro che il personale sia composto da persone con radici in Sud America, Cina, Europa, Asia o Africa. A volte c'è una sommaria conoscenza dell'inglese, ma è chiaro che tutti fanno del loro meglio, quindi la barriera linguistica non è un problema. Una cosa che ho notato da quando sono tornato in Giappone è una generale intolleranza per le piccole differenze. Tuttavia, alcune critiche costruttive sono una buona cosa. Se si affrontano le cose da una prospettiva positiva, è più facile apportare modifiche. È così che faccio il mio lavoro.

Takaya Nagai
Vice-manager di UNIQLO GINZA
Costruire uno spazio globale in cui la nazionalità non sia mai un problema.
Da UNIQLO GINZA abbiamo 320 dipendenti, di cui oltre il 30% proviene dall'estero. Ogni giorno li sentirete aiutare i clienti in giapponese, inglese e cinese, oltre che in coreano, francese, russo, thailandese, mongolo o vietnamita a seconda del turno. Ultimamente i clienti utilizzano le app di traduzione, che riducono notevolmente le barriere linguistiche. Alla base dell'assistenza offerta da UNIQLO c'è l'idea di lasciare che i clienti si sentano liberi di esplorare il negozio. Se qualcuno ha bisogno di aiuto, forniamo un'assistenza cortese e gentile. Vogliamo costruire uno spazio globale in cui la nazionalità non sia mai un problema, né per il personale né per i clienti. Ritengo che questo conferisca ai nostri negozi un'atmosfera leggera e rilassata, in cui chiunque possa sentirsi a casa.
Pensieri dello staff di UNIQLO GINZA

Kayo (Giappone)
Questo è un luogo in cui poter crescere. Qui sono riuscita a svolgere il mio lavoro anche al settimo mese di gravidanza.

Gerald (Filippine)
Ogni giorno ho la possibilità di allenare le mie competenze linguistiche in inglese e in filippino, questo rende il lavoro divertente.

Natalia (Russia)
Circa un anno fa, ho cambiato negozio passando da quello di Shinjuku ad UNIQLO GINZA. Adoro incontrare clienti provenienti da tutto il mondo.

Ayaka (Giappone)
Poter interagire con persone di background diversi e trovare il modo di aiutarle rende questo lavoro davvero significativo.

Sasitorn (Thailandia)
Quando sento persone parlare thai, le saluto sempre. Questo è un lavoro che offre incredibili possibilità di crescita.

Lin (Cina)
Ho tre figli. Essere genitore e lavorare allo stesso tempo è difficile, ma sono pronta a raccogliere la sfida. Voglio veder brillare il reparto vendite.

Yuiko (Giappone)
È divertente contribuire a creare un ambiente positivo non solo per i clienti, ma anche per il personale.

Il team comprende lo store manager, il personale addetto alla formazione, i veterani del negozio e gli assunti di RISE: tanti ruoli diversi, tutti impegnati a raggiungere un unico obiettivo.
UNIQLO GINZA
Indirizzo: |
1F-12F, Ginza Komatsu East Wing, 6-9-5 Ginza, Chuo-ku, Tokyo |
---|---|
Orari: |
11:00 – 21:00 |
Collezioni: |
Donna, Uomo, Bambino, Neonato, Premaman |
Come arrivare: |
Prendere la linea Ginza della metropolitana di Tokyo fino al capolinea Ginza e utilizzare l'uscita A2, quindi camminare per quattro minuti. |

Lavorando per mantenere la dignità umana, per camminare insieme e aiutarsi a vicenda.
Ayaki Ito
Rappresentante UNHCR del Giappone

Nei sette decenni trascorsi da quando l'UNHCR, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, è stata costituita per fornire soccorso e soluzioni ai rifugiati in fuga dalle devastazioni causate dalla Seconda Guerra Mondiale in Europa, la situazione globale dei rifugiati è cambiata in modo significativo. Il numero di persone costrette a fuggire dalle proprie case a causa di conflitti, persecuzioni, violenze o violazioni dei diritti umani ha raggiunto i 110 milioni in tutto il mondo.
Nei paesi che ospitano i rifugiati, la generosità nei loro confronti è messa a dura prova. Anche i paesi che storicamente sono stati una fonte significativa di sostegno emotivo e materiale alla causa dei rifugiati, negli ultimi anni hanno dovuto affrontare sfide per fornire un'assistenza sufficiente. Nel ventunesimo secolo, abbiamo anche assistito ad un passaggio dalla cooperazione internazionale multilaterale all'unilateralismo interno. Oggi si sente spesso parlare della preoccupazione e dell'ansia che i rifugiati possano alimentare tensioni interne e provocare divisioni.
Immagino che in Giappone, quando le persone sentono la parola "rifugiato", molti si sentano solidali, ma pensano di non poter fare nulla e percepiscono la questione come un problema insormontabile. Inoltre, quando le persone sentono parole come "guerra civile" e "politica", possono facilmente pensare che sia meglio stare alla larga dalla faccenda.
Il Giappone del dopoguerra non ha mai vissuto una situazione simile a una guerra civile. Eppure, ogni persona può immaginare uno scenario in cui si possa perdere improvvisamente la propria casa a causa di disastri naturali, come un forte terremoto, e si sia costretti a vivere in una situazione difficile dopo l'evacuazione.
In questo senso i rifugiati non sono poi così diversi. Sono persone che avevano una vita normale, ma che improvvisamente ne sono state private e sono state costrette a fuggire dalle loro case. Mettersi nei loro panni ci aiuta a capire meglio la loro situazione.

In qualità di agenzia umanitaria, l'UNHCR fornisce un sostegno immediato agli sfollati nei paesi colpiti da conflitti o nei paesi limitrofi in cui fuggono.
Ma questo non risolve tutto. In situazioni in cui le persone non possono tornare a casa o cercano una nuova vita in un luogo con una lingua e una cultura diverse, i governi nazionali e locali devono collaborare con organizzazioni esperte per sviluppare strategie di aiuto e accoglienza nella società. Altrimenti, i rifugiati diventeranno rapidamente isolati e incapaci di guadagnarsi da vivere. A meno che non siano sostenuti dal governo ospitante e dalla società nel suo complesso, i rifugiati non avranno un futuro stabile.
Ho molta fiducia nel potere del settore privato. Spero che un maggior numero di aziende possa seguire l'esempio del Programma di sostegno ed emancipazione dei rifugiati (RISE) di UNIQLO, che aiuta i rifugiati a diventare autonomi. Il programma crea le basi per consentire ai rifugiati di imparare la lingua, la cultura e le abitudini necessarie per vivere in modo indipendente e partecipare attivamente al miglioramento della comunità locale come membri della società. Approfondire la comprensione reciproca e sostenersi l'un l'altro porterà effetti positivi molto più grandi di quanto possiamo immaginare.
Una volta che i rifugiati iniziano a lavorare e si inseriscono nella comunità, la parola "rifugiato" diventa superflua. Per mantenere la dignità umana, dobbiamo sostenerci e camminare gli uni accanto agli altri. Aiutando i rifugiati a dimostrare pienamente le loro capacità, contribuiamo ad arricchire le nostre comunità in generale.
Per migliorare noi stessi e creare una società sostenibile, dobbiamo costruire una società che accolga i rifugiati. Spero sinceramente che vogliate darci una mano.
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